29/5/12, il giorno che ci ha cambiato la vita (per un po')

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Una settimana fa l'allarme ha suonato. Malgrado io scuotessi la testa, i ragazzi si sono messi sotto il banco in un lampo. Succede sempre la stessa cosa. Ho aspettato venti secondi e poi li ho fatti uscire. Solo quando ho visto il dirigente nel cortile sono stato sicuro che si trattava dell'esercitazione a sorpresa. Di ritorno in classe, la solita scena: ragazzi, siete tanto buoni e cari, ma se suona l'allarme è l'anti-incendio, non il terremoto. Non può andare sempre così, che bruciamo vivi ogni sei mesi.

"E l'allarme del terremoto come suona?"

Sospiro. È pur vero che loro non c'erano, e poi non consiste in questo il mio mestiere: nello spiegare sempre le stesse cose nel modo più chiaro possibile? Figliolo, l'allarme del terremoto lo riconosci perché arriva tardi. Se hai bisogno dell'allarme per sentirlo, non è un gran terremoto. Se invece è una scossa seria, fidati, la senti. Molto prima che il bidello azioni l'allarme. Di che stavamo parlando? Dunque, Napoleone cede Venezia agli austriaci, dopodiché...

Fino a un certo punto ci abbiamo creduto. Non so esattamente quale punto. Magari l'anno scorso ci credevo ancora; magari se me l'avessero chiesto avrei risposto che sì, il 29 maggio 2012 era il giorno che ci aveva cambiato per sempre. Non saremmo più stati gli stessi. All'inizio era ovvio. La terra si era messa a tremare sul serio, e non si sapeva quando avrebbe smesso (questo era l'aspetto più angosciante: avrebbe potuto durare per mesi, per anni, nessuno sapeva quanti).

In quei giorni prendemmo alcune risoluzioni solenni. Non saremmo mai più entrati in quel capannone. Non saremmo mai più entrati in nessun capannone. Avremmo dormito in tenda per tutto il tempo necessario. Avremmo fabbricato una seconda casa, di legno. Qualcuna è resistita, ingombra ancora il giardino di qualche villetta. Avremmo ristrutturato tutto a regola d'arte. Non avremmo mai più accettato in classe più alunni di quanti ne consentiva la legge. Era una cosa seria. Non si scherzava più.

La stessa sera dell'esercitazione ero a un concerto, nell'ultimo posto al mondo dove avrei pensato di trovarne uno, la Cantina Sociale di Sorbara - dove fanno il lambrusco.
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Cosa c'entra Beppe Grillo

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Due anni esatti fa, verso le nove del mattino, io avevo appena chiuso questo stesso portatile e stavo radunando le mie cose per andare a scuola, quando sentii un rumore che arrivava da lontano senza lasciarmi un minimo spazio per il dubbio: era il terremoto che veniva a prenderci.

Panic & Publish

Non volevo mettermi a scrivere di questo, ma già che ho cominciato faccio presente che di solito un terremoto è un evento sorprendente e imprevedibile, ma almeno nel nostro caso non andò così: la scossa del 29 venne a bussarci alla porta, e alle finestre, e alle pareti, e al pavimento, come un ospite che ha fatto tutto per avvisarci: e dopo dieci giorni di ambasciate, dieci giorni di sciame e chiese crollate e caseifici, se nonostante tutto questo uno si fa trovare con un mutuo sulla casa, una bimba piccola e in ciabatte, sono anche un po' cazzi suoi. Non era di questo che volevo raccontare; però una cosa che ricordo di aver provato è proprio quel senso di inadeguatezza: la catastrofe mi viene a trovare, dopo tanto girare in tondo ora punta diretta verso me e i miei cari, e io fino a quel momento com'era possibile che me ne fossi restato in ciabatte?Non li avevo visti i segni? Perché non li avevo presi sul serio? Questa pretesa così modenese di poter sempre sopravvivere sul margine semiserio delle cose (e infatti anche quella volta il terremoto ci avrebbe preso soltanto di sbieco; ma non potevo saperlo); non è qualcosa che in fondo merita una punizione, se non da parte di un dio-padre responsabilizzante, perlomeno da madre natura? Cioè io stavo risalendo a mettermi le scarpe, e già razionalizzavo. Già cercavo di prendermi una colpa non mia, come se davvero tutto lo sciame avesse senso perché in mezzo c'ero io che potevo percepirlo come un messaggio da decifrare.

Non volevo mettermi a scrivere di questo, è una storia che ho già raccontato e c'è da sottolineare come tutto sommato a scuola andò tutto bene: d'accordo, la prima cosa che vidi furono i genitori che stavano soccorrendo una mia collega semisvenuta. Ma pure lei, prima di semisvenire aveva evacuato la sua classe. Tutti avevano evacuato la loro classe. Migliaia di studenti in tutta la Bassa, nessun ferito o forse un paio. Voi non avete idea di che rumore fa una scuola quando lo senti arrivare da lontano, quando sai benissimo cos'è, e le ragazzine cominciano con quegli urli spielberghiani all'unisono. Sembra una sciocchezza portarli giù per le scale in fila per due - no, non sembra affatto una sciocchezza. C è anche da dire che, quando arrivai, la mia classe - la classe di cui dovevo prendermi la responsabilità - non esisteva più, perché nell'ora precedente era stata smembrata a causa dell'assenza di un collega: i supplenti di un giorno non ce li possiamo più permettere, e così sparpagliamo questi ragazzi in tante classi diverse, lamentandoci costantemente perché non è professionale e anzi pericoloso, nonché - se proprio vogliamo tenerci alla lettera della normativa - illegale.

Così io mi aggiravo col registro di classe per le aiuole e il campo di pallamano, cercando di capire dove fossero finiti i miei, e intanto dal suolo partivano certe scossette giusto per ricordarci di non avvicinarci troppo al plesso. Ora col senno del poi è possibile persino riderci sopra, ma in quel momento non avevamo la minima idea di cosa stava succedendo (i telefoni non andavano) e di cosa sarebbe successo: ci sarebbero state altre scosse? Ancora più forti? Ogni tanto arrivavano genitori con notizie, non necessariamente vere, ad es. è venuta giù la Gambro. Io sapevo che c'era il Many alla Gambro. I genitori stavano facendo la cosa che avevamo più volte chiesto di non fare: bloccavano il traffico per venire a prendere i loro figli e portarli in altri cortili non necessariamente più sicuri. Molti, in perfetta buona fede, prelevavano anche i nipoti e gli amici degli amici, cinque minuti prima che arrivassero i genitori di costoro a cercare i loro figli, e a non trovarli, e a minacciare i professori che li avevano abbandonati al primo venuto. Ma insomma verso mezzogiorno non c'era più nessuno e ce ne andammo anche noi. L'anno scolastico era finito. I libri e i quaderni sarebbero rimasti aperti sui banchi per un altro mese.

Io tornai a casa - non volevo mettermi a parlare di questo - trovai in cortile tutta la mia famiglia, tutti bene. Il piano era molto semplice: scappare il più lontano possibile, il più velocemente. Bisognava però salire a fare le valigie e fu un altro momento di inadeguatezza - ricordo che da lì a cinque minuti stavo già pensando a che giocattoli portare, cosa fosse più o meno adatto ecc.. ancora razionalizzavo, che in questi casi è la cosa meno razionale da fare. Fummo molto fortunati, perché la scossa dell'una - quella che molti considerano la più forte di tutte, e s'incazzano se gli fai vedere i tracciati dei sismografi - bussò appena fummo di nuovo fuori nel cortile. E poi di nuovo mentre caricavamo i bagagli: fu l'ultima scossa veramente forte, ma non potevamo saperlo. Sembrava viceversa che tutto stesse accelerando, e io in particolare sentivo l'euforia da 11 settembre, quei rarissimi momenti in cui la vita intorno a te prende quella forma tutto sommato snella, scattante, che è prevista dagli action movie. Noi tre sulla terza corsia dell'autostrada ad ascoltare il notiziario del traffico, dice che c'è stata un'altra scossa fortissima! Ah, no, aspetta, è ancora quella delle nove.

Ci fermammo a far benzina ed eravamo già a Cremona: per dire l'ultimo posto al mondo dove mi aspettavo di ritrovarmi quel mattino. Ormai ogni vibrazione ci metteva in allarme: l'ha sentita? dissi al benzinaio. Una scossa, proprio adesso, l'ha sentita? Un matto. Poi ci ritrovammo al lago e decidemmo che lì era un posto sicuro. Non era di questo che volevo mettermi a parlare.

E allora di cosa.

Ma niente, ho solo fatto caso a un fatto buffo, che forse mi mette a fuoco in tutta la mia inadeguatezza eccetera. Fu un giorno molto complicato, come non ne vivevo da un decennio e come mi auguro di non viverne più; non solo per la paura, che in fondo passò presto, ma per l'angoscia di non sapere quanto sarebbe durato ancora tutto quanto: mesi? anni? e non poter ancora calcolare cosa avremmo perso. Eppure.

Eppure se controllo nel mio impietoso archivio, scopro che anche nel giorno in cui il terremoto venne a prendermi a casa, e mi trovò in ciabatte con un mutuo e una bimba piccola; il giorno in cui persi i miei studenti nel cortile della scuola e scappai, e non sapevo quando sarei tornato; pure quel giorno riuscii a trovare il tempo per scrivere un post.

Un post su Beppe Grillo.
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Il terremoto e le palle di Grillo

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(Stasera, 29 maggio, alle 21 sono al Mattatoio di Carpi, un posto che ha rischiato di chiudere e invece è bello aperto, a leggere pezzi della Scossa, un libretto che ho scritto un anno fa per Chiarelettere).

Il 29 maggio del 2012 fu il giorno più lungo per i terremotati della bassa emiliana, molti dei quali stavano cercando di superare lo shock sperimentato una settimana prima ed erano tornati da poco sul posto di lavoro. Le interminabili scosse tra le nove e le tredici non furono un colpo micidiale soltanto per chiese e capannoni, ma anche per il morale di migliaia di persone. Quello che capimmo il 29 è che non si trattava semplicemente di un terremoto, ma di qualcosa di più lungo e perfido: uno sciame sismico, uno stillicidio di scosse e scossette che poteva rubarci il sonno e la tranquillità ancora per mesi e forse per anni. Proprio come lo sciame del 1570-1574, che aveva terrorizzato Ferrara per più di quattro anni. Quello che facemmo in molti la sera del 29 - piantare una tenda in cortile - nel 1571 lo aveva fatto il duca Alfonso nei giardini estensi. Nulla di nuovo, insomma: quello di Ferrara è uno degli eventi sismici che ci hanno lasciato una più ampia documentazione storica. I documenti, però, ogni tanto qualcuno dovrebbe fare la fatica di andarseli a leggere: sennò restano lettera morta e ci si convince - in barba alle mappe del rischio sismico - di vivere in terre misteriosamente sicure.

Il 29 maggio del 2012 Federica Salsi - consigliere comunale m5s a Bologna, non ancora caduta in disgrazia presso l'entourage di Grillo - segnalava sul suo profilo facebook il vero colpevole dei terremoti in Emilia: il fracking delle compagnie petrolifere in combutta con "Matto Morti". Fonte: un video complottista proveniente da un sito universalmente screditato. La Salsi lo aveva trovato su internet e non si era posta il problema di verificare se effettivamente ci fossero prove di un'attività invasiva come il fracking in Emilia, o in Italia, o in Europa. Fu senz'altro un'imprudenza, da parte di una persona ancora poco esperta di comunicazione. Diverso dovrebbe essere il discorso per Beppe Grillo, che inesperto non è, e che ha avuto tutto il tempo per approfondire il problema - se proprio ci tiene a parlarne. Anche perché nel frattempo è passato un anno e nessuno ancora ha capito o visto dove le compagnie petrolifere avrebbero estratto gas o altro nella bassa emiliana. Negli USA, dove il fracking si fa sul serio, di solito vengono evacuate intere contee.

Nelle dichiarazioni strappate dai giornalisti a Mirandola, e al comizio di Sestri Levante, Grillo ha giocato ancora una volta sull'equivoco tra fracking e stoccaggio di gas. Sono due cose molto diverse: la prima in effetti può provocare scosse - forse anche superiori al grado 5 magnitudo - il secondo no. In ogni caso nella bassa emiliana non risulta né l'una né l'altro (continua sull'Unita.it, H1t#181)

In ogni caso nella bassa emiliana non risulta né l’una né l’altro: è vero che a Rivara la Erg aveva cercato di creare un deposito di stoccaggio, e che il ministero aveva appena dato il via libera alla trivellazione di tre pozzi esplorativi: ma la Regione non aveva ancora dato il via libero definitivo (c’è comunque un’inchiesta in corso). Quanto al fracking, può darsi che in Italia qualche tentativo sia stato fatto: la fisica Maria Rita D’Orsogna, che Grillo citò un anno fa come fonte, ritiene di aver trovato documenti che dimostrano attività simili nelle province di Grosseto, Siena, Foggia e in Sardegna. Di Emilia non parla nemmeno lei.
Ne parlano però gli emiliani, nei bar: c’è chi sostiene persino di avere visto gli americani scappare via e lasciare un enorme accampamento incustodito. C’è chi dice che stanno scavando anche adesso: dove non si sa, ma scavano. Si raccontano tuttora storie enormi, abbiamo avuto un anno per gonfiarle: e Grillo ci ha fatto anche un po’ di campagna elettorale. Almeno ha il buon senso – o la faccia tosta – di ammettere che “non ci sono prove scientifiche”: è tutto un sentito dire, ma lui “ci gioca le palle” che è andata così. Quello che i giornalisti non vi possono dire – perché non ci sono le prove – ve lo dice lui, che di prove non ha mai bisogno. Se in Isvizzera una perforazione ha fatto il 3.6 richter, perché non può essere successo qualcosa del genere in Emilia? Grillo poi non è uno stupido, e probabilmente non gli è ignota l’enorme differenza su una scala logaritmica tra un 3.6 e il 5.9 della botta più forte di un anno fa: ma conosce anche, ahinoi, i suoi polli. Qualche anno fa ci raccontava della pallina che lavava più bianco senza detersivo; del pomodoro geneticamente modificato che secondo lui aveva ucciso 60 ragazzi; della “bufala” dell’Aids, dell’inutilità dei vaccini; di tutta l’energia che rivendeva all’Enel grazie allo strabiliante impianto fotovoltaico che si era messo in casa; tutte queste cose ci ha rivenduto un anno dopo l’altro, senza mai pagarne le conseguenze, perché dovrebbe temere ora per le sue palle o per la sua autorevolezza?
Tanto più che Grillo non fa che raccontarci qualcosa che vogliamo sentirci dire: non siamo una terra sismica. Lo siamo diventati a causa di uomini cattivi (probabilmente americani) e non lo saremo più quando la Gente vincerà le elezioni e li manderà tutti via. A quel punto non ci sarà più bisogno di fare esercitazioni serie e capannoni a regola d’arte, così come non ce n’era bisogno fino a qualche anno fa, perché noi non siamo davvero una terra sismica, è tutto un complotto. Anche i libri di Storia, i terremoti del 1570… è tutta roba vecchia, vecchia, sono tutti morti, morti. http://leonardo.blogspot.com
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Evacuate piano

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È passata ormai una settimana da quel giovedì sera in cui centinaia di residenti in Garfagnana evacuarono le loro case anche se in realtà non era stata ordinata nessuna evacuazione, a causa di una scossa che - ora possiamo dirlo - non c'è stata. È possibile, perlomeno statisticamente, che qualcuno di loro oltre a un bel po' di paura si sia preso un accidente, visto che è stata una delle settimane più fredde dell'anno. La cosa non fa notizia: ammalarsi è normale, e il fatto che in Italia le epidemie di influenza facciano più vittime dei terremoti è una semplice curiosità. Mesi fa, quando tremò un po' più forte la terra nella bassa emiliana, Beppe Grillo scrisse sul suo blog scandalizzandosi che in Italia non si facessero ancora le previsioni dei terremoti, come le previsioni del tempo. "Se il meteo ci dice che domani pioverà, terremo a portata di mano l'ombrello. Ma se viene annunciato il rischio di un forte terremoto, perché il Comune non ci dice come comportarci?" L'esempio della Garfagnana potrebbe spiegarci perché - finché non diventerà la prassi, e allora probabilmente Grillo si metterà a gridare sdegnato contro i Comuni che spingono migliaia di persone a dormire al freddo a causa di vaghe probabilità statistiche. Sarà senz'altro un complotto delle multinazionali che vogliono vendere più paracetamolo. Più probabilmente, al terzo o quarto o dodicesimo allarme di questo tipo la gente smetterà di prendere sul serio chi li dirama, e magari sarà proprio quella l'occasione in cui la terra tremerà davvero.

A scanso di equivoci, vorrei esprimere la mia solidarietà ai sindaci che nel pomeriggio del 31 gennaio ricevettero un fax dalla Protezione Civile, firmato dal Capo Franco Gabrielli, che confermava "l'ipotesi che la sequenza sia generata da una struttura orientata NE-SW - dunque trasversale alla catena" e che quindi "nelle prossime ore potrebbero avvenire altre scosse a SW della scossa principale, in prossimità dell'abitato di Castelnuovo in Garfagnana e dell'epicentro del terremoto del 23 gennaio 1985". Come si vede il fax, una comunicazione di emergenza rivolta a sindaci non necessariamente esperti di sismologia, né di abbreviazioni in lingua inglese (SW sta per South-West, in italiano sarebbe SO) risultava piuttosto criptico: non per la difficoltà della materia, ma per la sciatteria di chi anche in una comunicazione di emergenza non rinuncia a usare termini tecnici e abbreviazioni non universalmente intellegibili. Se si voleva dare un forte segnale di allerta, forse Gabrielli avrebbe fatto meglio a scrivere: SCOSSE POSSIBILI IN PROSSIMITA’ DI CASTELNUOVO NELLE PROSSIME 24H.(continua sull'Unita.it, H1t#165). La semplicità, la chiarezza, in queste situazioni dovrebbe essere considerata necessaria.

Una volta c’era il telegrafo a torcere il collo all’eloquenza dei burocrati; adesso si potrebbe prendere lezioni da twitter, ma forse il problema è un altro: Gabrielli voleva realmente dare un forte segnale di allerta? O voleva semplicemente cautelarsi con un fax in tecnichese? I sindaci che si sono trovati quel foglio in mano hanno dovuto scegliere in pochi minuti tra il rischio di essere condannati per aver minimizzato la situazione (come i membri della Commissione Grandi Rischi dell’Aquila) e quello di essere indagati per procurato allarme. Un’eventualità tutt’altro che remota nel loro caso: è quello che successe al ministro Zamberletti, che proprio in Garfagnana nel 1985 ordinò l’evacuazione di dieci comuni, in attesa di una scossa forte che non si verificò. Il dilemma è stato risolto in modo abbastanza salomonico dai sindaci che  hanno scelto di non evacuare, ma di… esortare la popolazione a uscire di casa, quasi la stessa cosa: però ora Gabrielli può difendersi dalle critiche sostenendo di non aver sollecitato nessuna evacuazione. In effetti no. Si è limitato a informare i sindaci via fax dell’eventualità di scosse di entità imprecisata in un intervallo di ore imprecisate. Non ci sarebbe da stupirsi se mentre lo dettava, oltre ai sismologi, il Capo della Protezione Civile avesse consultato qualche avvocato.
La massima solidarietà anche agli abitanti, che nel frattempo saranno tornati quasi tutti alle loro case, pur sapendo che il rischio non è affatto cessato. Io, se mi fossi trovato nella loro situazione, avrei cercato di allontanare i bambini per qualche giorno; nel frattempo avrei chiesto a un ingegnere, o al limite a un geometra, di controllare la mia abitazione, e l’avrei lasciata soltanto se fossero stati riscontrati dei difetti strutturali, rimandando alla fine dello sciame sismico i lavori di ristrutturazione. Mi è abbastanza facile immaginare la situazione perché ne ho vissuta una simile pochi mesi fa. Ma è assurdo che io dia consigli del genere ai garfagnini, che di queste cose dovrebbero essere esperti più di me. Non c’è una sola regione in Italia in cui ci si possa permettere di trattare i terremoti come degli ospiti improvvisi e sconosciuti. Dovremo cominciare a considerarli per quello che sono: turisti abituali, dai ritmi imprevedibili, ma che prima o poi ritornano. Sempre. http://leonardo.blogspot.com


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Il fungo comunicativo

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Sabbiolino va in prigione 

Abbiamo ormai capito (e ringrazio fuor d'ironia chi ce lo ha spiegato) che i membri della Commissione Grandi Rischi non sono stati condannati a sei anni per non avere previsto un terremoto - ci mancherebbe - ma per aver sbagliato le forme e le modalità della comunicazione alla cittadinanza. Siccome capita anche a me talvolta di comunicare, e non vorrei mai andare in galera, a questo punto mi sono chiesto come si fa ad azzeccare un messaggio che in sostanza dica: "non c'è motivo razionale per dormire fuori di casa ma fate pure". Discutendone su twitter con Anna Meldolesi, Luca Sofri ha messo assieme e tradotto un esempio di comunicazione corretta e professionale, opera di Peter Sandman, uno "specialista della comunicazione del rischio". Lo copio e incollo perché secondo me merita una riflessione.
Non ci sono basi scientifiche per concludere che la probabilità che avvenga un forte terremoto sia più alta dopo queste scosse piuttosto che in altri momenti. Ma allo stesso tempo non ci sono nemmeno prove scientifiche che dimostrano che il forte terremoto non ci sarà. Probabilmente prima o poi qui ci sarà un altro forte terremoto, ma noi, semplicemente, non possiamo predire quando avverrà (o quando non avverrà). Ci dispiace poter offrire alla gente così poca assistenza ma la verità è che non siamo in grado di stabilire se lo sciame sismico debba essere motivo di preoccupazione oppure no. Normalmente, gli sciami sismici non sono seguiti da terremoti violenti. Ma “normalmente” non vuol dire “sempre”. Possiamo sicuramente capire perché molte persone di questa comunità si sentano più sicure a lasciare le loro case quando cominciano le scosse e non abbiamo prove scientifiche che dicano che farlo sia una sciocchezza.
Mi sembra un bel messaggio, professionale e onesto. Fingiamo dunque che Sandman sia un membro della Commissione Grandi Rischi della Protezione Civile Italiana (chiamiamolo Sabbiolino), immaginiamo che dopo la riunione del 31 marzo esca dalla sala e reciti ai giornalisti questo messaggio. Secondo voi non finisce alla sbarra per omicidio colposo, in Italia? Spero di sbagliarmi, ma temo purtroppo che sì, Sabbiolino si beccherebbe anche lui i sei anni per aver  detto cose che, almeno nella prima parte del messaggio, avevano sostenuto anche gli altri membri della Commissione. Magari si erano espressi in modo più freddo, meno comunicativo, ma la sostanza è questa: non ci sono basi scientifiche per dire che sta arrivando la scossa forte. Fine. La scossa è poi arrivata, trecento persone sono morte, il giudice ha condannato la Commissione per omicidio colposo.

L'unico dubbio me lo fa venire l'ultima frase, che ho evidenziato. In quella frase è lecito leggere una garbata condiscendenza verso chi, in assenza di basi scientifiche voleva lasciare la propria casa: non possiamo scientificamente dirvi che sia una sciocchezza. Questo, lo concedo, è molto più professionale che brindare col Montepulciano davanti a una telecamera, come fece il portavoce della Protezione. Ma è l'ultima frase di un lungo comunicato, che le redazioni di quotidiani e tv locali avrebbero mutilato. Il titolo lo avrebbero fatto con la prima parte: SCOSSE ALL'AQUILA: GLI SCIENZIATI NON PREVEDONO UN FORTE SISMA. Oppure.

Oppure, per esigenze di drammatizzazione, avrebbero potuto fare l'inverso: mutilare la lunga prima parte, e dare risalto soltanto alla frase evidenziata. SCOSSE ALL'AQUILA: PER GLI SCIENZIATI "NON È UNA SCIOCCHEZZA" LASCIARE LE CASE. In questo modo si sarebbero effettivamente salvate molte vite, visto che la scossa forte poi c'è stata. Ma se non ci fosse stata (come era statisticamente più probabile)? Se non ci fosse stata, probabilmente lo stesso magistrato avrebbe portato alla sbarra Sabbiolino e compagni per procurato allarme: come si permettono questi esperti di gettare nel panico la popolazione dando informazioni distorte, peraltro non suffragate da evidenze scientifiche? Non solo non sanno comunicare in modo professionale, ma sono pure cattivi scienziati, ecc. ecc.

Anch'io sono convinto che all'Aquila (e non solo là) ci sia stato un problema di comunicazione. Se ritengo ingiusto farlo pagare agli scienziati, non è soltanto per il fatto che erano scienziati e non comunicatori professionisti. Secondo me non c'è professionalità che tenga, di fronte alla distorsione a cui sono sottoposte le notizia - tutte le notizie - sui media italiani. Il problema insomma è a monte, e non credo nemmeno che sia del tutto imputabile agli stessi operatori dell'informazione. Ancora più a monte ci siamo noi italiani, che non leggiamo più - che non sappiamo più leggere. La dichiarazione del signor Sabbiolino sarà anche professionale, ma è troppo lunga per la nostra soglia di attenzione. O leggiamo le prime cinque righe - e decidiamo che ci sta dicendo che non ci sarà un terremoto, quindi restiamo a dormire nel sottotetto - o ci sintonizziamo solo sulle ultime cinque, e a quel punto restiamo in tenda per tre mesi (non è un'esagerazione).

Ma nella maggior parte dei casi non leggiamo affatto. Nella maggior parte dei casi diamo retta a un conoscente che ha sentito, in tv, un servizio dove un tizio intervistava i passanti riguardo alla dichiarazione di uno scienziato che aveva detto che fuggire di casa non è una pazzia. È come se ogni singola notizia, ogni fatto in senso stretto, sprofondasse immediatamente in un fondale sabbioso, sollevando la sabbia in una specie di fungo che diventa subito più interessante e comunicativo del fatto in sé. Il fatto in sé scompare. È una cosa che possiamo notare tutti i giorni. Una settimana fa il ministro Profumo ha presentato un Ddl in cui si proponeva di aumentare l'orario (di lezione?) dei docenti da 18 a 24 ore settimanali. In seguito ha riconosciuto che un aumento del genere va contrattato, ma nel frattempo si è alzato un polverone di commenti indignati o entusiasti che impediscono al povero insegnante di capire esattamente se la notizia sussista o no: ci sono ancora sul tavolo queste 24 ore o non ci sono più? Giuro, non si capisce. E quelli che meno capiscono spesso sono quelli che possono accedere a internet: dove trovano tantissimi detriti spostati dall'entusiasmo e dall'indignazione, e poche informazioni in senso stretto. Risalire alle fonti non è solo un'abitudine che hanno in pochi: ormai è un'abilità che si conquista e si può perdere. Credo lo sappia benissimo Sofri, che dirige un quotidiano on line che ha un certo successo perché cerca di dar conto di ciò  che in teoria è scritto ovunque, e in pratica è ovunque sommerso dai detriti, dalle polemiche, dalle opinioni.

Ai primi di giugno, al mio paese, bastava stazionare a un incrocio con una pettorina e un casco antinfortunistico perché la gente si fermasse a chiederti informazioni sul terremoto: non quello già avvenuto, ma quello che doveva arrivare, perché in tv avevano detto che doveva arrivare. In tv, per quanto ne so, non dissero mai qualcosa del genere, nemmeno il più caciarone dei tg ne ebbe il coraggio. Tutti i tg però avevano dato sbrigativamente conto di un comunicato della Commissione che non escludeva il riattivarsi di una faglia (il che non si può escludere nemmeno stanotte e in generale mai). Il solito fungo aveva poi fatto il resto, e la gente fuggiva al mare perché aveva sentito parlare di una scossa imminente in tv. La sensazione di trovarsi all'improvviso investito dalla tribù smarrita del carisma di uno sciamano, semplicemente perché leggi Tersiscio e conosci un paio di nozioni concrete sul fracking o su un deposito di gas, è molto meno divertente di quanto non sembri da fuori. Anche perché alla fine alla gente non è che interessi più di tanto il fracking o la faglia: se si fermava a chiederti qualcosa, nove volte su dieci voleva sapere la stessa cosa che pretendeva dalla Commissione: posso tornare a dormire a casa o no? E non ha nessuna importanza che la sequenza stia calando secondo la legge di Omori: ancora oggi, se dici a qualcuno di tornare pure a dormire nel suo letto - e stanotte si riattiva la faglia - tu sei imputabile per omicidio colposo. Perché non sai comunicare bene. L'unica cosa è smettere di comunicare, come credo gli scienziati italiani dovrebbero fare. Ci pensino i giudici, al prossimo terremoto, a informare la popolazione in modo professionale e corretto. Almeno se sbagliano loro non vanno in galera.

Io ho una teoria su come siano andate le cose all'Aquila, che non riuscirò mai a provare e forse è meglio così: credo che la riunione del 31 abbia creato un fungo mediatico che la maggior parte degli aquilani ha decifrato come "no panic, state a casa". Non credo che abbia senso incolpare gli scienziati di averlo sollevato, perché si sarebbe sollevato comunque, qualsiasi cosa avessero detto. Mi ha fatto molto riflettere una cosa che ho letto su questo pezzo di Nature dell'anno scorso: all'Aquila c'era chi leggeva i quotidiani e consultava internet, e chi continuava a fare alla vecchia maniera. I tradizionalisti quella sera hanno dormito fuori. I beneinformati hanno dato un'occhiata alle news e hanno deciso di restare dentro. Le tradizioni ancestrali si sono mostrate più efficaci di internet. Non è una buona notizia: non solo perché facciamo fatica a trovare le informazioni su internet, ma anche perché ci stiamo dimenticando le vecchie tradizioni ancestrali. Ce ne andiamo brancolando nel buio, di buono c'è che possiamo sempre trovare qualcuno a cui dare la colpa, e un giudice che ci dia ragione.
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Se non crei panico sei un omicida

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Nel giugno scorso la Commissione Grandi Rischi - la stessa di cui si parla oggi a causa della controversa sentenza dell'Aquila - finì nell'occhio del ciclone per avere lasciato intendere, in un documento ufficiale, l'eventualità di un'altra forte scossa nella bassa emiliana. In questa zona, dove migliaia di persone e attività stavano cercando di riprendersi dall'incubo di fine maggio, la Commissione fu accusata senza mezzi termini di disfattismo. In realtà (ne diedi conto su questo blog) il documento non conteneva nessuna previsione; si limitava a indicare la zona più a rischio "nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata dalla sequenza in corso". Quella che circolava sui quotidiani e nel passaparola tra bar e tendopoli era una non-notizia: stava per arrivare un'altra scossa forte, lo avevano detto gli scienziati. Che gli scienziati avessero in realtà scritto tutt'altro era ormai un dettaglio. La scossa forte non è poi arrivata - anche se lo sciame prosegue - e le accuse di allarmismo ingiustificato nei confronti della Commissione sono cadute nell'oblio, come succede sempre nei casi di profezia non riuscita. Se viceversa una scossa fosse arrivata, i membri della Commissione sarebbero stati portati sugli altari per una previsione che in realtà non avevano mai fatto (continua sull'Unita.it, H1t#150).

Così vanno le cose in Italia, un Paese che ha un rapporto complicato con la scienza. A scuola la studiamo poco, in compenso la veneriamo, come veneravamo prima di lei gli dei che ha sostituito. Non abbiamo la minima idea di come funzioni, ma ci fidiamo ciecamente di lei: è un libro con tutte le risposte, basta saperlo aprire alla pagina giusta. Quando scopriamo che non è così, che alcune pagine sono ancora vuote o lacunose, ci scandalizziamo. L’idea che i terremoti non si possano prevedere come gli acquazzoni tuttora ci destabilizza: sempre in giugno Grillo si domandava a cosa servissero i sismologi coi loro sismografi, visto che non sanno dare i giusti consigli alla popolazione. I sismologi, dal canto loro, si trovano in una situazione senza via d’uscita: in presenza di uno sciame sismico non possono certo escludere l’eventualità di una scossa catastrofica. Al massimo possono ricordare che è un’eventualità statisticamente limitata. Se poi la catastrofe, in barba alle statistiche, si avvera, verranno accusati di avere minimizzato il rischio e condannati per omicidio colposo (è il caso dell’Aquila); se invece non arriva, come nel giugno scorso, qualche cittadino, qualche industriale danneggiato dal panico potrebbe denunciarli per procurato allarme. Cosa resta a loro da fare?
Cambiare mestiere, probabilmente. Inutile ribadire che né all’Aquila né in Emilia la Commissione poteva prevedere il tempo e il luogo esatto di una scossa; inutile lamentarsi del fatto che le comunicazioni degli esperti vengano sistematicamente fraintese e distorte. Forse quella che manca tra gli italiani e gli scienziati è una lingua comune. Eppure il verbale della famigerata riunione del 31 marzo 2009 sembra abbastanza chiaro: i membri della Commissione non escludevano “‘in maniera assoluta” che potesse verificarsi un sisma distruttivo come quello del 1703, e tuttavia lo consideravano improbabile, dal momento che le scosse pur numerose registrate fino a quel momento non avevano nessun carattere precursore. Ma quello è il contenuto tecnico della riunione, quello che non interessa più nessuno. Se tutti i membri della Commissione ieri sono stati condannati per omicidio colposo è per un contenuto mediatico, qualcosa che nel verbale della riunione non c’era – ma che forse c’era sui titoli dei quotidiani locali l’indomani mattina, e senz’altro è rimasto nella memoria collettiva degli aquilani: un invito a dormire tranquilli nelle proprie case. Gli scienziati non scrissero questo, ma forse giornalisti e cittadini volevano sentirselo dire. La distorsione del messaggio fu probabilmente causata anche dalla polemica tra il capo della Protezione Civile Bertolaso e Giampaolo Giuliani, dalla necessità di prendere le distanze dal sismologo-fai-da-te che pochi giorni con le sue previsioni a base di radon aveva spaventato inutilmente gli abitanti di Sulmona. E tuttavia a pagare per ora non sono né Bertolaso né Giuliani, bensì degli esperti che fecero semplicemente il loro mestiere, senza prevedere o minimizzare nulla.
Il 28 gennaio del 2012, in seguito ad alcuni eventi sismici di lieve intensità in Valpadana, la Commissione diramò un breve comunicato in cui si paventava “la possibile riattivazione di strutture che in passato hanno generato terremoti di maggiori dimensioni (magnitudo 6 e oltre)”. La Commissione chiedeva pertanto “di curare in modo particolare l’aspetto della comunicazione in tutte le fasi del terremoto – prima, durante e dopo – in modo da trasmettere un messaggio coerente e conseguente alla popolazione e alle autorità”. Forse la maggiore attenzione della Commissione nei confronti della comunicazione, della necessità di un “messaggio coerente e conseguente”, è dovuta alla brutta esperienza dell’Aquila. Può darsi che gli incontri di prevenzione organizzati nei mesi successivi nelle scuole emiliane abbiano dato qualche frutto: senz’altro le migliaia di studenti che il mattino del 29 maggio evacuarono decine di scuole senza nessun grosso incidente sono la migliore dimostrazione che una politica di prevenzione, in Italia, è possibile. Certo, tra esperti e cittadini bisogna capirsi, e non sempre c’è la volontà (politica, culturale) di farlo. Da semi-terremotato posso testimoniare che la tentazione pre-moderna di prendersela con gli scienziati, di sacrificarli alla prima previsione fraintesa o errata, è ancora fortissima. http://leonardo.blogspot.com
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In diretta a Radio Popolare Roma, tra un po'

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Tra qualche minuto (ore 9.00) - e mi dispiacerebbe interrompere Cat Food dei King Crimson - dovrei parlare in diretta a Radio Popolare Roma, credo a proposito di terremoti ed emilianità, due argomenti che se vi hanno stracciato vi comprendo. Potrebbero sentirsi pianti e starnuti selvaggi in sottofondo, è per aggiungere realismo.
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Sono emiliano e non sto reagendo bene

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Qui spiega perché questa
è la carta più importante.
"Emiliano" è una parola che mi lascia sempre perplesso. Tuttavia vorrei in quanto emiliano un po' terremotato lasciar scritto che Gabrielli oggi mi ha offeso. Dicendo senza mezzi termini che *noi* avremmo reagito meglio degli aquilani, Gabrielli ha perso una straordinaria, meravigliosa occasione per tacere.

Un'occasione favolosa, che spero non si lascerà sfuggire più. Non è soltanto la goffaggine di passare sopra una tragedia di 300 morti, per il capriccio di paragonarla a una disgrazia che in una zona molto più vasta ne ha fatti una trentina; non è la cialtroneria che si potrebbe perdonare a un qualsiasi avventore di bar o di forum o Sgarbi, ma implausibile in uno che di mestiere fa il capo della Protezione Civile. Non è la disonestà intellettuale di chi mescola, e sa di farlo, le mele con le pere, una scossa con magnitudo 6 e un epicentro nei pressi di un capoluogo regionale con uno sciame di magnitudo inferiore, che ha fatto comunque danni immensi, ma che sarebbe stato ben altrimenti catastrofico se avesse lambito una sola delle grandi città a poche decine di chilometri dalle faglie.

No, è proprio che questo mito dell'emiliano che reagisce bene ha rotto il cazzo, definitivamente. Tante grazie Gabrielli che reagiamo meglio di una città universitaria in cui crollano gli edifici storici e la casa dello studente. Tante grazie che, essendo inseriti in un contesto produttivo più dinamico di quello abruzzese (anche se in crisi fissa) abbiamo tenuto botta e riaperto il prima possibile. Avevamo alternative? Tante grazie che non abbiamo aspettato che si sbloccasse la burocrazia degli aiuti. Tante grazie al cazzo, Gabrielli. Vieni dalle nostre parti a dirci quanto siamo bravi a riaprire delle aziende col rischio di finire in galera se poi arriva un'altra botta da 5 e casca un altro tetto. Vieni a dire alla gente che ha perso la casa, e se la rifarebbe pure, ma non ha chi gli faccia credito; vieni a dirgli che dev'essere fiero di essere un emiliano che si comporta meglio di un aquilano. Vieni qui a dire le tue cazzate Gabrielli. Vai in una qualsiasi tendopoli tra Novi e Finale a spiegare perché dopo trenta giorni, con la canicola di luglio, erano già finiti i soldi: vediamo se te la cavi con una bell'ode al pensionato emiliano propositivo pieno di voglia di vivere, ma anche, perché no? di crepare in una tenda a ferragosto! Vieni vieni, non aver paura, siamo gente ospitale noi.

Alla mia finestra c'è il solito campanile. Quattro mesi fa transitavano gli sciacalli, all'inizio non era così facile trovare qualcuno che restasse di guardia lì sotto. La seconda notte arrivò a darmi il cambio uno di Sulmona, AQ. Rimase una settimana, faceva tutti i turni di notte. Spiegaglielo pure a lui quanto sono superiori gli emiliani, Gabrielli.
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Arriva la Scossa

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In breve: ho scritto un libro in formato digitale sul Terremoto. Lo trovate sul sito di Chiarelettere, costa tre euro. Quel che spetta all'autore verrà devoluto in opere di ricostruzione nel comune di Cavezzo.

Più in lungo: due mesi fa – ma sembrano secoli – i redattori di Chiarelettere mi contattarono per propormi di scrivere un libro in formato digitale (ebook mi fa un po' schifo, scusate). Io mi misi subito a proporre idee, loro dissero che erano interessanti ma... ma non era vero, era una pietosa menzogna, io di solito ho idee troppo bislacche per riuscire a farne un libro (sennò ne avrei già scritti parecchi, a questo punto). Ci stavamo ancora riflettendo, quando la terra si è messa a tremare. Per un po' non ci siamo sentiti, poi su un trenino che mi riportava dalle mie parti mi è suonato il telefono; quel che mi chiedevano lo immaginavo già. Sapevo anche di non esserne capace. Ma mica per modestia, eh.

È che scrivere un libro su una catastrofe naturale è già di per sé un gesto sconsiderato. Ma scriverlo durante la catastrofe naturale, col pavimento che ogni tanto dà una botta e non sai se è l'assestamento quotidiano o la vicina di casa che ha urtato i puntelli con la carrozzina – non è proprio possibile, capite, ti capita di scrivere che il tale campanile ha retto e il giorno dopo magari lo buttano giù. Poi ti sembra di fare lo sciacallo. Ma in realtà, semplicemente, sei in mezzo a una battaglia, e chi è in mezzo a una battaglia non ci capisce nulla, non ha la minima idea di dove stia andando l'avanguardia e dove stia arretrando la retroguardia, non può dirti il numero dei morti e dei feriti, vede solo della gente che spara e della gente che scappa ed è tutto. Però.

Però mi avevano chiesto di scrivere un libro; mi avevano dato un tema, una data di scadenza. È una vita che sogno una situazione così. Io tutto sommato scrivere so, ma non mi è mai chiaro di cosa dovrei scrivere, non sono mai molto sicuro di quel che interessa la gente. Un libro poi non è questa cosa eccezionale, oggi lo si può pubblicare anche in proprio, ma non è che mi interessi molto rifriggere gli sfoghi quotidiani in un altro formato. Quello che mi interessava era avere un committente. Uno che mi dica: questo è interessante, prova a scriverci su, mandami tutto entro il 29. Ho sempre sognato che qualcuno si facesse vivo e me lo chiedesse, e ora potevo dire di no? Ho detto di sì, ci provo. E ho scritto un libro. Il 29 era finito.

Attenzione però. Esce con Chiarelettere, ma non è un'inchiesta. Non credo di essere in grado di farne una, ma anche se lo fossi, era troppo presto: tutto stava ancora succedendo. Ci sono cose molto interessanti su cui ho preferito non scrivere niente, perché ancora non c'è niente di chiaro. Lo abbiamo notato tutti, per esempio, che i capannoni costruiti negli anni Cinquanta hanno retto bene e quelli degli anni Ottanta no; è ormai una nozione condivisa, però... però non potevo esserne sicuro, non c'è ancora disponibile un censimento dei capannoni danneggiati. È una sensazione condivisa, tutto qui, ma molti hanno anche condiviso la sensazione che l'INGV truccasse i dati della magnitudo, e che il transito di Venere davanti al Sole c'entrasse qualcosa. Mi sarebbe piaciuto essere più tecnico, tirare fuori dei numeri veri, ma sui quotidiani ogni giorno c'era una storia diversa; le biblioteche erano tutte chiuse. Di cosa potevo scrivere?

In realtà di cose da scrivere ne avevo fin troppe, come al solito, e anche per questo sono contento che qualcun altro abbia letto e sfoltito e corretto (mi hanno corretto le bozze! È un lusso per me) mettendo a fuoco il tutto. Ho scritto la mia descrizione della battaglia, da un punto di vista qualsiasi: gente che scappa, gente che resta in posizione, gente che attende ordini che non arrivano, e nel frattempo si scambia informazioni. Quasi tutte sballate. Ho scritto un libro sulla gente che parla di Haarp, di fracking, di guerra ambientale americana, di perforazioni che non ci sono mai state, di previsioni di terremoto che vengono pubblicate invariabilmente dopo il terremoto. Ho scritto un po' sull'emilianità, questo concetto inventato l'altro ieri che improvvisamente ha individuato in mezzo alla pianura padana una comunità di persone delle quali viene dato per scontato il coraggio, la tenacia, la capacità organizzativa – mentre qui nel mezzo della battaglia si vedeva gente che piangeva, smadonnava, panicava, eccetera. Ho scritto anche un po' di me, quel poco che serviva a mettere le cose in prospettiva. E ho fatto tutto molto in fretta, volevo che si notasse. Su questo terremoto si scriveranno libri migliori, inchieste coi fiocchi, tra qualche anno sapremo tutto. Mi piacerebbe però che questo rimanesse fresco come rimangono certi taccuini di combattenti, con tutti gli inevitabili errori di prospettiva. Ero troppo vicino per capirci davvero qualcosa, ma qualcun altro leggerà e capirà. Grazie.
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Alla padrona di casa

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Quando ti presi, in una piazza nordica dove soffia sempre il vento, un microclima, non eri che una piantina tra tante, un rametto nel germoglio delle mie ambizioni: mi ero appena intestato una casa con terrazzo, e nella mia fantasia il verde urbano rampicava già fino alle tegole. Mi dissero che ero fortunato a trovarti, che sul lungolago eri in via di estinzione, la febbre del mojito portava i baristi a saccheggiare le serre.

Poi venne l'estate e il tuo primo compare ci restò secco. Seccasti anche tu, bastò lasciarvi soli un paio di settimane, in attesa di una pioggia mai arrivata. Quanto a me, la speranza si era seccata già da prima, l'estate quando si presenta sembra vacua e immensa ma poi si riempie subito di cose da fare e insomma ciao, non avevo nemmeno la forza di volontà necessaria a buttarti nella spazzatura. Strappai via tutti i resti secchi che erano stati te, sentii appena una fragranza di chewingum, ti mollai agli elementi dell'autunno. Forse gli adulti devono fare così, chiarire da subito che sono stronzi inaffidabili. Tu alle prime piogge buttasti già fuori le prime foglie, timide, ai bordi del vaso, lontano dal delitto.

Poi venne inverno e la tormenta di neve del secolo: te ne sei accorta? A un altro compare tuo marcirono le radici, tu riprendevi forma. Venne un'altra estate e ci furono di nuovo cose importantissime, emergenze che mi tenevano lontano, e di nuovo eri morta, e di nuovo mi maledissi, ma ormai ti conoscevo, avevi seminato speranza. Staccai i rametti secchi, non ti buttai. A settembre eri già verde di nuovo.

E ancora inverno e neve da spalare. E poi, ai primi caldi, una novità: la terra che trema. Ma le piante di queste cose non si curano, un terremoto per loro val meno di un soffio di vento serio. Le norme antisismiche, le hanno interiorizzate in una fase molto precoce della loro evoluzione, e ora se ne ridono delle magnitudo e dei mercalli. L'unico problema sono i maledetti umani che scappano via e non mandano nessuno a innaffiare, certo dipendere da una specie così pusillanime dev'essere seccante.

Ma tu non ti secchi più, quando tornai mi hai salutato altera, i tuoi quattro rami (tanto vicini al bordo del vaso), oscillanti alla canicola: toh, guarda chi c'è. Regina di un terrazzo abbandonato al nulla, ai fiori di tiglio riarsi che pure le formiche disdegnano.

E io dovrei staccare le tue foglie orgogliose, pestarle col ghiaccio, ammollirle all'alcol dolciastro, io? Ma a che titolo, io nemmeno di annusarti sono più degno. Suggi piuttosto tu di me, ficca le tue radici in queste trippe pavide di profugo e guarda se c'è qualcosa di nutritivo, ma dubito. Del resto hai tutto: diossido e sole in abbondanza, e l'acqua, se proprio ci tiene, verrà. Tu te ne freghi dell'afa e della tempesta e della tormenta, e dei terremoti in particolare. Ben altri padroni meritavi, ben altri coinquilini, ché ormai per usucapione la padrona qui sei tu.
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E il Veneto? (e il Vesuvio?)

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Va bene, abbiamo capito, siamo una terra sismica e avremmo dovuto saperlo prima. Facevamo finta di niente, ignoravamo tutti gli indizi che pure erano a portata di mano, scommettevamo sul fatto che certe cose capitano una generazione ogni venti, vuoi proprio che dovesse capitare a noi? Siamo stati ingenui e sprovveduti, criminalmente sprovveduti. Soprattutto coi capannoni: li volevamo sempre più grossi, sempre più alti, sempre più rapidi da tirar su, ci siamo tirati il collo per acquistare o prendere in affitto delle trappole per topi. È stata una grossa cazzata. Però possiamo rimediare. I morti restano morti, ma i feriti possiamo curarli, i senzatetto indennizzarli, e l'Emilia può diventare antisismica, se si impegna. Ci vorranno soldi ma li troveremo, ci aiuterà l'Italia e persino l'Europa, e in generale ci aiuteremo da soli. Magari nel giro di pochi anni la casetta di legno diventerà un elemento tipico del paesaggio, dove prima c'era il casolare ristrutturato. Magari i nuovi capannoni antisismici saranno anche più belli. In fondo tutto cambia, perché non dovrebbe cambiare la Bassa, anche in meglio. Va bene.

E il Veneto?
Perché, cosa c'entra il Veneto, adesso? (Scopritelo sull'Unita.it, H1t#134).

No, niente, è che… anche il Veneto, come l’Emilia, non esiste. Sono due nomi diversi per una terra che non comincia e non finisce, e si stende tra le Alpi e gli Appennini. Ci passa un fiume in mezzo, ma le faglie corrono molto più sotto, ignorando le futili divisioni amministrative. Quindi la domanda è: mentre qui ci mettiamo a montare case di legno (per ora sono poco più di rimesse per gli attrezzi, ma qualcuno la sta già ordinando coi servizi e la veranda), in Veneto qualcuno si preoccupa di verificare l’antisismicità degli edifici? Mentre noi ripensiamo totalmente la tipologia delle strutture nelle zone industriali, in Veneto qualcuno ci sta facendo un pensiero? O continuano a timbrare il cartellino e a entrare nei loro capannoni come niente fosse? Perché il Veneto è sismico quanto lo siamo noi. Perché il terremoto padano più distruttivo del medioevo non ebbe un epicentro in Emilia, ma tra Verona e Brescia: nel 1117, fece crollare il rivestimento esterno dell’Arena e il duomo. Naturalmente è lecito sperare che a una generazione che ha vissuto da bambina il terremoto del Friuli e da grande quello in Emilia almeno un sisma in Veneto dovrebbe essere risparmiato. Ma lo sciame che è venuto di qua dal Po, sarebbe potuto venire anche di là. Il fatto che sia venuto qua piuttosto che là non dovrebbe cambiare nulla. Certo ora noi siamo spaventati, siamo ansiosi, ci teniamo a mettere in sicurezza le nostre case e le nostre fabbriche, ma perché in Veneto non dovrebbero essere altrettanto preoccupati?
Dico il Veneto perché è una regione poco lontana, simile per prodotto lordo, per densità di popolazione… e per rischio sismico. Ma a ben vedere il discorso vale per tutte le regioni d’Italia: per qualcuna più che per le altre, ma nessuna dovrebbe sentirsi esclusa. Basta dare un’occhiata alla storia sismica del nostro Paese. Se però qualcuno vuole previsioni più accurate, c’è un altro fenomeno ricorrente che è particolarmente in ritardo sulla sua tabella di marcia: il Vesuvio. Da qualche secolo a questa parte si era stabilizzato in un ritmo ciclico, che prevedeva un’eruzione distruttiva più o meno ogni quarant’anni. L’ultima si è verificata durante la Seconda Guerra Mondiale. Poi più niente. Il periodo ciclico si è evidentemente interrotto, e i vulcanologi ritengono che la prossima eruzione sarà particolarmente disastrosa. Capite cosa abbiamo qui? Qualcosa che i sismologi non possono assolutamente darci, la previsione di un disastro in una località geografica ben definita, i vulcanologi ce la servono un vassoio d’argento. Il Vesuvio erutterà: è già esploso in passato, e sappiamo bene cos’è successo. Una nube ardente, di gas ad altissima temperatura, sterminò la popolazione di Pompei. I lapilli poi la coprirono. Quel che è successo nell’antichità potrebbe succedere ancora: l’unica differenza importante è che oggi alle pendici del Vesuvio non sorgono alcune fiorenti cittadine, ma la seconda o terza hinterland italiana per densità di popolazione. Mentre noi qui ci riorganizziamo e ci addestriamo a reagire meglio a una calamità che nel nostro territorio potrebbe non ripresentarsi più per altri 300 anni, sotto al Vesuvio fanno qualcosa? Ci sono ancora feriti durante le esercitazioni? La statale è ancora parzialmente ostruita dallo sverso dei rifiuti? Il Vesuvio prima o poi si risveglierà. È un’evenienza ben più probabile e facile da localizzare di qualsiasi prossimo terremoto. Non c’è bisogno di consultare indovini o scienziati maledetti: il disastro è già stato previsto, il luogo dove si verificherà lo conosciamo. Vogliamo parlarne?
Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che no, non se ne voglia parlare. Che almeno a un certo livello si sia già fatto un calcolo, troppo osceno per essere divulgato, e si sia concluso che anche in questo caso sarà più semplice sensibilizzare gli italiani dopo il disastro che prima. Ho la sensazione che nei cassetti delle redazioni, dove si tengono i coccodrilli per quei personaggi anziani che potrebbero morire da un momento all’altro, si possano trovare anche gli editoriali furenti e dolenti per un disastro naturale terribile e terribilmente annunciato – l’eruzione del Vesuvio. Con gli spazi bianchi dove inserire lo spazio per le vittime (decine? centinaia? di più?) e i miliardi di danni; e tante parole di sdegno per la speculazione edilizia sul cono del vulcano; per le prove di evacuazione insufficienti; per la criminale miopia della classe politica. Che forse non è poi così miope davvero. Forse – ed è terribile pensarlo – ha semplicemente già fatto i suoi conti.http://leonardo.blogspot.com

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Waiting for my break

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Io, per dire quanto ne ho piene le palle del terremoto, in questo momento sto in mutande.
Mi rendo conto che non è che sia questo scoop, ma dovete pensare invece a quanto sia coraggioso, di questi tempi, in queste plaghe, salire in casa propria al primo piano e mettersi in mutande, toh, irridendo la scossa che potrebbe costringerti a uscire nudo in strada o - se il pudore prevale - a cadere nudo tra i rottami del tuo geniale investimento immobiliare. C'è gente che ogni giorno rientra nella zona sismica per lavorare otto dieci e ore e finché non torna in una casa sicura non va in bagno, sul serio c'è gente così, e a costoro, poveri, io dico amen: in caso di big one, mi identificherete dalle mutande. D'altro canto sono un grafomane ed è sempre stato statisticamente molto probabile che le mie ultime parole fossero un'assoluta scemenza.

Qui c'è la solita afa del secolo, molta gente sbaracca le tende e torna in case non sicure ma dotate di air conditioning. Se non ci vivi non puoi capire come la paura di un terremoto possa cedere il passo all'insofferenza per l'umidità. A parte questo non ho molto da dire, ma in mezzo ai vecchi post non pubblicati ho trovato una lista buttata lì; a fine maggio era partita una catena sui dieci pezzi migliori degli Anni Novanta. Così ora, per dire quanto ne ho piene le palle, scriverò un pezzo su questo argomento di cui frega pochissimo anche a me, figurarsi voi, ma se viene il Big One ci tengo a farmi trovare in mutande mentre parlo d'altro con ostentata indifferenza.

I miei dieci pezzi preferiti degli anni Novanta, come se la cosa interessasse a qualcuno

Gli anni Novanta si riconoscono dal fatto che si compravano i CD. Io per la verità già pochissimi, la mia cultura musicale era sin d'allora il sintomo di un'offerta inflazionata, era il calore che d'inverno si prende gratis il barbone sulla grata della metro, era il frescolino che si prendono gli anziani al centro commerciale senza acquistare niente. Anche ai centri commerciali ci si poteva fare una cultura musicale dignitosa ai tempi, adesso non so. Tengo le cuffiette tutto il tempo.

Zooropa, 1993.
Giusto per mettere le cose in chiaro, io negli anni Novanta ero musicalmente già vecchio, ancorato a miti già messi in discussione e poi traditi, e poi ripresi in casa con la stanchezza con cui si riannoda l'unica storia dignitosa che sei riuscito a mettere su. Quando si misero a lavorare a Zooropa gli U2 ormai non erano più i rocker irlandesi che avevamo amato in parrocchia, non erano più molto rocker e nemmeno molto irlandesi, ormai vivevano nella terra di nessuno tra un aeroporto e l'altro ed è lì che composero ed eseguirono Zooropa, e si sente, e la cosa è molto anni Novanta. Gli U2 di quel decennio forse furono le ultime rockstar, se ha un senso la parola, quelli che a ogni disco dovevano cambiare volto e progetto, tradire qualche fan e recuperarne altri che li avevano fanculati, per esempio, dopo Rattle and Hum. Oggi nessuno ha più il coraggio di disorientare così quei poveretti che ancora portano avanti la nobile tradizione di comprarti i dischi; anche gli U2 hanno smesso di fare le rockstar, ho sentito che hanno un circo itinerante ma è molto caro. Zooropa, la prima volta che l'ho sentita accovacciato in un vagone passeggeri, pensavo a tutto tranne che avrei ancora ascoltato nella vita un disco degli U2; quando dal ghettoblaster un tizio che aveva paura di addormentarsi sul treno e perdere la coincidenza per Saint Tropez, Zooropa sboccò fuori come un fiume in pena ispirandomi pensieri come: Ce l'hanno fatta di nuovo, quegli stronzi! Ora ci tocca ascoltarli anche per tutti gli anni '90. Non è andata proprio così. Il testo parla di come ci si sentiva negli anni 90, nei lounge dei terminal o accovacciati nei corridoi dei treni per il mare.


Friday i'm in love, 1993.Non so, vogliamo starne a discutere? Non era il decennio dei Cure e non era la canzone migliore dei Cure, e nemmeno ho intenzione di riascoltarla nei prossimi 200 anni neanche se la coverizza il clone di Johann Sebastian Bach recuperato da un frammento di DNA impigliato tra le corde di un clavicembalo ben temperato; ma si può far finta che non sia uscita? Vogliamo suggerire di avere gusti musicali più raffinati, canzoni d'amore più intelligenti da sfoggiare? Fammi controllare, che giorno è? Mercoledì? Mercoledì non me ne può fregar di meno, guarda.


Jamie, 1994.
Jamie cominciò a sentirsi in radio dopo quella cosa paraculissima che era Buddy Holly, e fu il momento in cui di colpo ho smesso di pensare che i Weezer fossero un gruppo scemo da una botta e via, e ho cominciato a pensare che fossero la Cosa Nuova Del RnR, insomma il momento in cui sono passato da una deficienza all'altra; ma mi piace pensare di aver incocciato anche solo per un futile istante il vero gusto musicale, e mi piace pensare che sia quel momento in cui nell'inciso Jamie smette di battere 4/4 e se ne va per i fatti suoi.



Aicha, 1996.
Per come si erano messi gli anni 90 io avrei potuto anche diventare tutt'un'altra persona, per esempio adesso potrei essere un panzone che ascolta rai a palla in autoradio, invece non mi ricordo neanche esattamente cos'è il rai e perché mi piaceva. Mi piaceva perché era diverso ma familiare ma diverso. Si ascoltava molto in Francia, finché quella cosa non troppo interessante che è il rap francese se lo mangiò, fine della storia, oggi se mettete su Cheb Mami io vi chiedo che roba è, e il bello è che non faccio finta, mi sono totalmente dimenticato di cosa sarei potuto diventare. Aicha non è neanche la mia canzone preferita di Khaled, ma le altre non mi ricordo più come si chiamano e mi costa fatica cercare, inoltre descrive due personaggi dei miei anni 90: il panzone d'area magrebina, magari un po'mbriago che cerca di rimorchiare ma ha disposizione solo un frasario del nonno del nonno, e la fanciulla che cerca di emanciparsi, spero tu ci sia riuscita Aicha. Magari hai cinque bambini, un classico; e se torno al quartiere nemmeno ti riconosco. Poteva andarci meglio, sì, inutile discuterne.


Seekers who are lovers, 1996
Anche i Cocteau Twins erano, come me, un relitto degli anni 80, che come me si svegliò verso il 2000 con l'aria piuttosto sbattuta e molto rumore nelle orecchie. In quel periodo, se mi aveste conosciuto, ve l'avrei propinata commentando il frastuono con aria di intenditore, e vi avrei spiegato che la BBC session era molto meglio della versione studio, niente coretti leziosi e così via. Ma dovete anche capirmi, non c'erano ancora i blog a cui affidare tonnellate d'opinioni non richieste. Quando mi è venuta l'idea di fare questa lista ho pensato subito a loro, ero incerto sul pezzo giusto e allora ho dato un'occhiata su youtube: il primo commento è: "this song is sexy as fuck. this BBC version is the greatest - you can hear what everyone's doing. it's not syrupy soup as on the LP". Ecco, basta, mi era sufficiente incontrare qualcuno che la pensasse come me, ora non annoierò più nessuno. Vedete come l'Internet ci ha reso persone migliori, alcuni.



The Rockafeller Skank, 1998
Gli anni '90 erano anche quelli strani in cui andavo a ballare, qualcuno sostiene che è successo anche nel decennio successivo ma è una menzogna e non ci sono prove, né testimoni sobri. E si andavano a ballare cose scemissime a un certo punto, ci fu una specie di riconciliazione tra rochettari anche post-grungi, truzzi ricollocati nel tessuto produttivo e dj coi postumi della summer of love, e l'ex batterista degli Housemartins riciclatosi spacciatore di campionamenti da due soldi è l'epitome di tutto ciò. C'è senz'altro qualcosa di meno banale che meritava, ma Funksoul brother ha sempre funzionato, con chiunque ci fosse in quel momento in sala, ed è tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento. Sì, parlo al plurale per darmi un contegno, ma la verità è che ho veramente ballato questa roba. L'ho anche messa su alle feste.




You turn the screw, 1998.
Senza Antenna 1 anche ai Cake non avrei mai dato più dei tre minuti che misi a guardare il video di I will survive, invece se metti in fila quanti dischi hanno mandato fuori, quante belle canzoni ci sono dentro, quanti stili hanno costeggiato senza smettere un istante d'essere Cake, e quanto poco ciò sia fregato a tutti, capisci che erano avanti, già pronti a quell'incredibile spreco di talento che sarebbe stato il decennio successivo, e anche solo per questo la top 10 se la meritano davvero, anche se non sapresti dire con che pezzo e in che posizione. A me questa piace più di altri, voi arrangiatevi.

4 big speakers, 1998
A un certo punto degli anni Novanta la situazione era così incerta, così aperta - stasera mi piglio un due di picche da una pancabbestia o da un'imprenditrice? - che la risposta alla domanda "qual è il tuo gruppo preferito" era una cosa oggettivamente disperata come  "i Cardigans". Io però qui non ce la faccio a mettere i Cardigans, non riesco proprio a capire cosa mi facesse impazzire in quel poprock leccato il giusto, forse a quel tempo ci voleva della faccia tosta a stare tra i Roxettes e i Black Sabbath, ma è come quella gente che passeggiava in tondo gridando al cellulare, in seguito abbiamo smesso di ritenerlo un fatto degno di nota e di rilevanza culturale. Abbiamo anche smesso di ascoltare i Garbage, ve li ricordate i Garbage? Se uno pensa ai Garbage in heavy rotation nei centri commerciali, può capire perché i Cardigans potessero sembrare un'alternativa di un certo livello. Se ricanticchio dentro me gli immortali successi dei Cardigans, mi accorgo che oggi se li potrebbe cantare pari pari Britney o Lady Gaga, e allora? Allora, giusto per restare in Iscandinavia, ci metto i Whale (gli Whale?) I pezzi tirati de(gl)i Whale mi piacevano in un modo insano, volevo solo picchiare la testa contro il muro, o, in macchina, contro il volante. C'era il problema che questo disco ad Antenna1 qualcuno se lo era fregato - quella radio era un porto di mare! - quindi a un certo punto nessuno richiese più 4 big speakers, i dj dell'indotto cominciarono a temere che nessuno l'avrebbe capita e ballata, sicché essa cadde nel dimenticatoio. Poi arrivò Napster, e all'inizio cercar canzoni era come disseppellire i tesori, se nel frattempo ti eri dimenticato il titolo del pezzo o l'artista la ricerca era ancora più affannosa e divertente. Quando finalmente la trovai, la misi a palla nelle cuffiette, ma non c'era più nessun muro e nessun volante, stavo lavorando in un open space ed ero, come molto spesso negli anni Novanta, un perfetto deficiente. Non l'ho più ascoltata. No. Bugia. Due o tre ascolti l'anno, dai. In settembre di solito.




Waiting for a break, 1999.
Cioè questa roba era il meglio che si è ascoltato negli anni '90? Poveretto, chissà la merda. Effettivamente non so neanche chi siano e non li ascolto mai, però qui descrivono esattamente chi era l'abitante degli anni '90 di cui più avevamo paura, anche nel senso che avevamo paura di diventare come lui, anche nel senso che ormai era troppo tardi per non diventarlo. Qui c'è una traduzione.



The free design, 1999
Quando ormai gli anni Novanta cominciavano ad essere un po' avanti coi decimali, e nelle iterazioni sociali sempre più aleatorie, sempre più disparate e disperate, la domanda "tu che musica ascolti" cominciava a richiedere una risposta netta senza incertezze e stucchevoli puntini di sospensione, proprio in quel complicato momento gli Stereolab mi soccorsero e gliene sarò infinitamente grato, ma non abbastanza per ricordarmi dei titoli delle loro canzoni - e sì che loro si sforzano e ne inventano di veramente belli, ma gli Stereolab nei Novanta erano un flusso continuo che usciva da Antenna1 e si scioglieva immediatamente nel nastrone che tenevi sempre lì pronto sul momento, ben consapevole che nessun disturbo radio, nessun woofer o blip o drip o persino un'interferenza di Radio Maria avrebbe potuto rovinare un pezzo degli Stereolab, anzi. Secondo voi dovevo prendere il telefono coi tasti grossi e chiamare Max, chiedergli scusa come si chiamava il pezzo degli Stereolab che hai appena messo su? Ma per piacere. The free design è già di una fase successiva, me lo ricordo bello forte nei cuffioni del negozio, era quel momento in cui sembrava che questi signori fossero capaci di tutto, la sbobba la volete più jazz? ve la facciamo più jazz, che problema c'è. Vennero anche alla festa dell'Unità di Modena ma l'acustica era pessima. C'era ancora la corista che poi è morta (ci sono già due morti in questa didascalia, finiamola qui).

Come, neanche un pezzo in italiano? Sì, ne ho ascoltati parecchi ma mi sembrerebbe di pesare assieme mele e pere, no, mele e cachi patocchi. Magari un'altra volta, rigorosamente in mutande. Ciao.
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Alice guarda i SS

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È il solo santino che ho trovato, ed è così brutto che è quasi bello.
15 giugno - Santa Alice, lebbrosa (1204-1250)

In realtà questo pezzo è solo un misero modo per chiedere scusa a una ragazza che si chiama Alice (buon onomastico Alice), in ritardo per giunta, che mi aveva chiesto un'agiografia per oggi: e io credo che sia una cosa carina che mi arrivino le richieste, mi sembra appropriato al taglio della rubrica - peccato che non ce la faccio poi a esaudirle.

Peccato veramente perché stava andando bene questa rubrica, stava dando soddisfazioni, e da giugno in poi pensavo che avrei avuto anche più tempo per pescare storie interessanti -  poi a fine maggio c'è stato un martedì un po' turbolento dalle mie parti, terremoti e altre cose, e da quel momento ho la testa da un'altra parte (spesso ho anche il laptop da un'altra parte); non da una parte necessariamente più utile o interessante, però le storie di santi non riesco a scriverle più, e mi dispiace, mi dispiace veramente Alice, ma pensa che in questi giorni ho già ciccato miseramente Giovanna d'Arco, renditi conto - e Antonio da Padova, si meriterebbero un romanzo per uno e non ci ho scritto nulla. E guarda che ci ho provato, anche se la biblioteca è chiusa a data da destinarsi, ci ho provato lo stesso, ma il processo di Rouen e il miracolo della mula non mi dicono più niente.

Sarà il brutto periodo, ma tutti questi Santi in cielo li vedo un po' più lontani ultimamente, se alzo gli occhi fanno tutti le smorfie, ora sì che avresti bisogno di noi, vero? Ah! Arrangiati, così impari a ridere dei nostri colleghi. Di' che non ti servirebbe un Santo per sanare la crepa nella camera dei bambini. Non c'è! Un Santo per far tornare il sorriso sulle facce dei tuoi cari, un Santo che ridia il sonno a chi l'ha perso, un Santo per ripristinare il valore del tuo investimento immobiliare... aspetta che controllo, aspetta... ti attacchi Leonardo! La prossima volta va' a far la rubrica sugli avatar degli indù, va'. Ma sul serio pensavi di poter fare a meno di noi? (Continua)
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Piccoli uomini Grandi rischi

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Ma quelli che oggi si lamentano perché la Commissione Grandi Rischi ha segnalato il rischio di altre scosse, sono gli stessi che prima si lamentavano perché i sismologi non riuscivano a prevedere i terremoti e ad allertare la popolazione?

Certo che dev'essere dura fare i sismologi in Italia. Fino a pochi giorni fa Beppe Grillo e compagnia si lamentavano del fatto che non riuscissero a fare previsioni accurate almeno come quelle del meteo ("Se il meteo ci dice che domani pioverà, terremo a portata di mano l'ombrello. Ma se non viene nemmeno annunciato il rischio di un forte terremoto, perché il Comune non ci dice come comportarci?") Ora che i sismologi hanno indicato con una certa precisione l'area a maggior rischio, ecco che li si accusa di voler seminare un panico ingiustificato.

Una domanda antipatica: il documento della Commissione Grandi Rischi che ha fatto infuriare tanta gente (qui nell'Emilia terremotata e altrove), quanti lo hanno letto davvero? Perché purtroppo la voce che correva tra tendopoli e bar, il giorno dopo, era la solita: "hanno detto che sta per arrivare un'altra scossa forte". Oltre all'angoscia, che a un certo punto dovremo cominciare a gestire, stavolta si è sentita anche una certa rabbia, forse dovuta alla sensazione che lo sciame comunque si stia disperdendo: scosse se ne sentono ancora tutti i giorni, ma ogni giorno un po' meno, e meno forti (la stessa cosa, purtroppo, la stavamo pensando alla vigilia del 29 maggio). E quindi, insomma, cos'è questa Commissione che insiste a farci paura? (continua sull'Unità, H1t#131).

La Commissione, in realtà, ha semplicemente fatto il suo mestiere. Non ha omesso di notare che “le scosse di assestamento stanno decrescendo in numero e dimensione”, almeno nell’area centro-occidentale, e ha segnalato che viceversa il segmento centro-orientale (tra Finale e Ferrara) è quello più a rischio “nel caso di una ripresa dell’attività sismica nell’area già interessata dalla sequenza in corso”. Forse valeva la pena di sottolinearlo, quel “nel caso di”, perché la Commissione non dà affatto per scontato che arrivino altre scosse forti: afferma soltanto che qualora riprendesse l’attività sismica, è tra Finale e Ferrara che bisogna aspettarsi la scossa più forte, paragonabile “ai maggiori eventi registrati nella sequenza”.
Ma non si era detto fino alla noia che i terremoti non si potevano prevedere? Infatti (qui una spiegazione di un sismologo vero). Il massimo che si può fare è segnalare un’area più o meno vasta dove più facilmente potrebbe verificarsi la prossima scossa forte. Cioè quello che la Commissione ha fatto – seminando il panico in chi non ha letto bene, o ha creduto al sentito dire. Forse, tenuto conto della condizione emotiva di chi vive nella zona, il comunicato di sintesi poteva essere scritto in un italiano più semplice. Ma forse tocca anche a noi cercare di capire quello che gli esperti ci stanno dicendo, prima di spaventarci inutilmente.
Ma il panico è sempre ingiustificato. La prossima scossa, se ci sarà, non dovrebbe essere più terribile delle altre. Per il semplice motivo che ormai ce l’aspettiamo, sappiamo come comportarci, abbiamo già verificato la tenuta delle nostre abitazioni e non dormiamo in quelle a rischio; abbiamo capito che non dobbiamo gettarci dalle finestre o dalle scale, né sostare sotto i cornicioni. Tutte cose che in teoria avremmo sempre dovuto sapere, ora le abbiamo imparate, meglio che dopo tutte quelle esercitazioni annuali che non prendevamo mai sul serio. Chi sa cosa aspettarsi non dovrebbe più vivere nell’angoscia. Certo, una scossa nel cuore della notte continuerà a rovinarci il sonno. Certo, non abbiamo la minima idea di quando finirà, e questa cosa ci lascia sgomenti. Ma se il terremoto non si può controllare, la nostra angoscia e il nostro panico sì, possiamo combatterli. Smettendo per esempio di aspettare che un espertone ci dica che siamo fuori pericolo: lasciamo perdere, quell’espertone non ce lo dirà mai, finché non ce ne accorgeremo da soli. http://leonardo.blogspot.com
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Certi giorni (sono meglio di altri)

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Certi giorni ti svegli e c'è il sole, le tende ai giardini pubblici sembrano un camping, ti danno l'illusione che dietro i pini ci sia una spiaggia da qualche parte. La badante che dorme sulla panda all'angolo, il sismografo meglio calibrato del quartiere, dice che scosse lei non ne ha sentite; il cornetto al bar si scioglie in bocca, e pensi che non c'è nulla che non si possa risolvere: casca un campanile, lo rifaremo più bello. E anche le industrie, prima delocalizzano, prima si sbrigano a tornare indietro. Abbiamo mille sfollati? Fammi ridere, prima del sisma avevamo quattromila appartamenti sfitti, tutti ancora in piedi, tutti nuovi antisismici. All'ex coop rilevata dai cinesi stanno cambiando i mattoni, giuro: tolgono quelli vecchi evidentemente crepati, e ne mettono di nuovi, sembra un lego. Nel frattempo i cinesi hanno riaperto, dalla porta di servizio per non disturbare i muratori. Vai così. Se ci credono i cinesi, che hanno il mondo a disposizione, un margine c'è.

Hai presente quel balcone che si affaccia sotto il campanile, dove ci sta una famiglia di paki. Sono tornati. Cioè, dormono ancora nel parco, ma di giorno stanno nell'appartamento, i bambini vanno persino sul balcone. Quel balcone sporge troppo, mi preoccupava anche prima dello sciame, così ho detto al padre di starci attento. Magari mi ha dato retta, portavo il casco giallo.

Certi giorni dopo mezz'ora si mette a piovere, ti dicono che il duomo e il teatro forse sono da buttare giù e il sindaco è ricoverato, la scuola non si sa nemmeno se riapre in settembre, al centro di coordinamento nessuno coordina un cazzo, e il tuo architetto è latitante. I marocchini stanno disertando in massa, c'è l'ambasciata che li rimpatria gratis. Insomma ci credono giusto i cinesi, e il muschio, e i licheni. E non sono ancora le otto di mattina. Piove nelle chiese, nelle case scoperchiate dopo quattrocento anni, e tu sei lì col tuo casco giallo limone, l'omino playmobil di guardia a un solaio sfondato.

Sei arrabbiata con me? Ho tradito la tua fiducia, quando ci siamo conosciuti avrei dovuto almeno accennare alla faglia ferrarese, al terremoto del 1570? Vorresti che ti dicessi che non durerà altre settimane, altri mesi, altri anni? Che non succederà mai niente a noi e ai nostri figli, assolutamente niente mai?

Certi giorni non ti svegli nemmeno, sei su dal giorno prima. Dovresti buttar già qualcosa ma hai la nausea dei casolari diroccati, della magnitudo, invidi gli inviati speciali che a un certo punto prendono un taxi, un treno, e il loro terremoto finisce lì. Guardi le case in cui nessuno forse avrà più coraggio ad abitare, e pensi a quanto costavano al metro quadro quando ne stavi cercando una. Adesso per la stessa cifra potresti prenderti una contrada intera e farci un ospizio, che è poi quello che diventerà questo quartiere, quando le imprese delocalizzate non torneranno, i giovani se ne andranno e resteranno i vecchi, resteremo noi.

Due ragazze sono cadute dal quarto piano. In ospedale hanno detto che i ladri erano entrati nell'appartamento e le avevano costrette a buttarsi di sotto. Stasera ho ridato un'occhiata e la storia era cambiata, c'erano due ragazze che tentando di svaligiare la casa dei vicini erano cadute giù.

Certi giorni puoi solo incassare e sperare che tramonti presto, anche se il terremoto veramente non si corica mai, ma alla fine sei stanco anche di aver paura. Lascia perdere l'INGV ci siamo presi quello del secolo e siamo ancora qui, siamo vivi. Possiamo ancora andare dove vogliamo, vuoi che andiamo via? Ero di guardia al campanile ma al telefono con te, ricordo che mi stavi dicendo che l'Italia comunque è fottuta, quando ho visto una, due, tre bolle di sapone cadere giù dal balcone dei paki, e non scoppiare fino al marciapiede. Certi giorni alla fine tieni duro e sono meglio di altri.

(Stamattina, mi hanno detto, riaprono il Centro).
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La scossa delle vanità

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(Mi hanno intervistato sul terremoto).
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Sovrani cercansi

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Riotta, perdio, sai che rumore fa il terremoto?
Un rombo che arriva da lontano. Ogni volta che arriva,
a qualcuno saltano la coronarie. Non è una metafora, si
sentono le ambulanze, gli saltano davvero. Perché non
organizzi un bel match di baseball benefico molto
fuori dai coglioni?
E poi ci siete voi.

Voi che la colpa è dei politici.
Voi che siccome la collisione di due faglie a decine di chilometri di profondità è oggettivamente difficile da collegare ai politici, voi però non vi tirate indietro, vi lambiccate, e dai e dai un modo per dimostrare che è colpa dei politici anche la tettonica a placche la si trova.
Voi che quando martedì scorso Cavezzo è andata giù, coi suoi edifici a norma, coi suoi capannoni appena ispezionati, voi nel giro di poche ore avevate pronta la soluzione: bisognava rinunciare alla parata.
Voi che, siccome Napolitano non poteva rinunciare alla parata, ecco, lo vedi? È colpa di Napolitano. Facile.
Voi che quando vi si chiede, con diplomazia, ma che cazzo state dicendo? Secondo voi a sospendere una parata già montata si risparmiano i fondi necessari a ricostruire? Ma l'avete capita che è più o meno come sospendere una festa di compleanno per curare la leucemia? Voi fate spallucce, lo sappiamo, eh. Non siamo mica cretini, noi. Però...
Voi che però cosa? Non siete cretini però cosa?

Voi che però sarebbe stato un gesto simbolico.
Rinunciare alla festa di compleanno.
E anche Napolitano, perché non è corso a farsi inquadrare sullo sfondo dei calcinacci? Sarebbe stato un bel gesto simbolico. Sicuramente chi sta nelle tendopoli a Novi o Rolo avrebbe apprezzato, non è vero, un ampio spiegamento di forze per garantire le inquadrature di Napolitano sullo sfondo dei calcinacci. Ah, e anche il Papa. Andava a Milano. Poteva fermarsi per strada (per strada?) Con tutto il codazzo di bodyguard necessario. Sarebbe stato un bel gesto simbolico, un caos logistico che gli sfollati avrebbero senza dubbio apprezzato. Però non ha voluto, lo vedi? È colpa del Papa. Poteva stendere le mani e non l'ha fatto. E di Napolitano. Non è degno di fare il presidente della, della Repubblica.

Voi che non siete cretini, però... eh, è tanto liberatorio. C'è un terremoto? Si dà addosso al Papa. In mancanza di meglio. Si dà addosso al presidente della Repubblica. In mancanza del re. Certo una volta era comodo. Il terremoto era un messaggio di Dio al sovrano. Ferrara 1570. Terremoto. Dio vuole punire Alfonso d'Este, sovrano indegno e sterile. Facile. Poi, certo, viene l'Illuminismo, nasce la scienza moderna, Wegener si fa ridere addosso con la deriva dei continenti che poi diventa la tettonica a placche, maledetta tettonica a placche. Chi te lo legge un bel messaggino indignato su facebook contro la zolla africana che si sfrega contro quella euroasiatica? Chi ti clicca “mi piace”? Invece un etto di indignazione contro Napolitano o Ratzinger o Monti te lo affettano tutti fine fine, è roba che va a ruba, e allora no, non siamo cretini, però... però su facebook un po' ci conviene.

E anche la Repubblica, la cosa di tutti, che rottura di palle. Era molto meglio quando era tutto intestato a o're, si faceva molto prima a dare addosso a lui. Napolitano si ingegna, ma non è proprio la stessa cosa.

Ciao sono Leonardo, scrivo da una piazza di Carpi appena fuori dalla zona rossa. Ci sono quattro bar aperti in cento metri, vorrei poter prendere un caffè da tutti, ma non mi farebbe bene. Erano aperti anche ieri, neanche dodici ore dopo una scossa di 5,1 magnitudo. La gente passa a chiedere: quando riaprite il centro? Quando posso riaprire il negozio? Quando riaprite la scuola?, mia figlia vuole i libri per studiare. Molti dormono in tenda. Non hanno mica aspettato che gliela portassero. Se la sono comprata.

Sapete di cosa ha bisogno questa gente? Di un'altra polemica antipolitica un tanto al chilo? No, mi dispiace, no. Vi sta sulle palle la parata? Vi capisco, io trovo deprimenti i compleanni. Scrivete pure di quanto vi sta sulle palle la parata. Ma per favore non mettete in mezzo i terremotati. Loro l'hanno capito cos'è la repubblica. Via, non è difficile. Basta leggere le prime due righe: la sovranità appartiene al popolo. Al popolo, capite, non a un notaio del Quirinale che deve andare a farsi inquadrare con la fascia. Non è il re: è un funzionario. Se la terra trema, non ha colpe e non ha nemmeno particolari poteri. Siamo una repubblica. I sovrani siamo noi. Siete voi. Volete fare un bell'atto simbolico, pensate che i terremotati ne abbiano bisogno? Venite voi. Non serve neanche una fascia, meglio una pettorina anti-infortunistica.

Ieri mattina al presidio ho trovato un sovrano, uno tra tanti. Era venuto da Pescara, faceva la guardia al centro storico. Ho molto apprezzato il gesto, non solo simbolico, visto che la sera prima si era trovato sotto il campanile di San Francesco quando aveva cominciato a oscillare come un pendolo. Sono tornato sedici ore dopo, era ancora lì, si era fatto due turni filati ed era contento perché non avrebbe dormito in macchina, bensì in palestra. Ecco, con sovrani del genere, scusate, ma chi ha bisogno di Napolitano.
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Non imboschiamoci

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Ciao, sono un campanile in controtendenza
Oggi avrei qualcosa da dire, purtroppo non tanto a voi che leggete, quanto ai miei compaesani tra Modena e Carpi che dormono ancora in auto o in tenda. Difficilmente verranno qui a guardare - però due cose comunque io devo scriverle, e sono queste.

Prima cosa: chiunque vi dica che c'è un altro grosso terremoto in arrivo - e so che ce ne sono, so che la voce gira - vi sta mentendo. Nel migliore dei casi è un mitomane, nel peggiore un infame, uno sciacallo: e così dovete trattarlo. Non vi chiedo di prenderlo a ceffoni, anche se li meriterebbe, ma ridetegli in faccia: ridicolizzatelo, umiliatelo, fate sì che si vergogni di andare in giro a dire certe cose, e che chi lo ascolta si vergogni di avergli dato retta per più di un istante. I terremoti non si prevedono: i terremoti si sconfiggono con la prevenzione, la prudenza e il coraggio.

L'altra cosa che vorrei dirvi è appunto questa: ci vuole coraggio. Un po' di più di quello che abbiamo avuto fin qui. Vorrei dirvi che il terremoto è un evento catastrofico, che scatena sotto le case l'energia di un bombardamento misurabile in megatoni; però anche il terremoto non è che sia più forte di noi. Di noi tutti assieme, intendo, se ci facciamo coraggio. Chi ha una casa distrutta ha tutto il diritto di piangerla, ma guardiamoci negli occhi: la stragrande maggioranza delle nostre case non è distrutta. La stragrande maggioranza delle nostre case ha ballato su una scossa superiore ai cinque magnitudo, ed è ancora lì. Lo sapevate di avere case così robuste? Ora lo sapete. E quindi adesso si tratta di tornarci, di riprendere a vivere e a lavorare. So anch'io che non è facile.

Ci vuole coraggio. Quel coraggio che hanno avuto per esempio i nostri nonni, molto più poveri di noi, che si sono presi una medaglia d'oro. C'era il nazismo e loro hanno avuto un po' di coraggio. Non credo che oggi ce ne serva più di quello che hanno avuto loro. Noi poi andiamo molto fieri del loro coraggio, lo festeggiamo tutti gli anni e non facciamo che parlarne: ecco, è l'ora di mostrare che lo ricordiamo per un motivo. Fingete solo per un attimo che il terremoto sia il nazismo: che si fa, si scappa? È' un nemico insensato che rade al suolo paesi inermi, e lo fa per spaventarci: ci imboschiamo?

Io non posso dirvi quando finirà - e chiunque sostiene di potervelo dire è un bugiardo, un traditore, una spia. Potrà metterci anni, e forse ci saranno altre crepe e altri caduti. Può benissimo succedere, e allora? L'unica cosa che so è che alla fine se ne andrà, perché alla fine i terremoti se ne vanno tutti: e avremo vinto noi. Se non saremo scappati, se avremo tenuto in vita i centri piccoli e grandi, se non l'avremo data vinta al declino e alla paura del declino, che sono la stessa cosa. Quel giorno avremo vinto: e ricorderemo chi è caduto perché cercava di rimettere in funzione una linea di produzione; ricorderemo chi ha tenuto i negozi aperti anche oggi 2 giugno; chi ha aiutato negli ospedali da campo e nelle tendopoli; chiunque abbia lottato ogni giorno per tornare a una vita normale; e gli imboscati non li ricorderemo. Avete paura per la vostra famiglia? Mettetela al sicuro, ma poi tornate qui. Abbiamo bisogno di voi, anche solo per festeggiare quando sarà tutto finito. Le vostre case, in nove casi su dieci, non vi hanno tradito: non lasciatele sole.

(C'è anche un'altra cosa. L'altra sera, al presidio contro gli sciacalli, c'erano volontari venuti da Reggio ad aiutare. Molto nobile da parte loro: ma davvero vogliamo farci salvare le case, col rispetto parlando, dai reggiani?)
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